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Fette di limone - E se succedesse a me?


Ogni volta che si parla di antirazzismo, la replica più semplice è quella che dice “Sì, parli bene tu. E se avessero derubato, minacciato, aggredito te?”

Beh, è quello che è successo. E per simpatica combinazione, due settimane dopo il mio intervento “Aridatece il buonismo”, dove mi scagliavo contro ogni tipo di discriminazione.

Per chi non lo sapesse, abito a Torino in Lungo Dora. Zona problematica, che per anni è stata teatro di spaccio di eroina e furti. Zona insieme popolare e multietnica, incontro di cinesi, africani, arabi, me e Maria Gaia.

Il processo di riqualificazione, che ha visto la Scuola Holden spostarsi nella ex Caserma Cavalli, è stato in gran parte positivo: gli affitti sono rimasti medio-bassi, le piccole botteghe e i locali hanno guadagnato tanti giovani clienti e le iniziative di incontro e di scambio culturale sono state numerose e proficue.

Mi è sempre piaciuta la mia zona. Il mercato di Porta Palazzo, il balon, la mongolfiera. Mi è piaciuta malgrado le siringhe dietro qualche albero, l’immondizia lungo il fiume.

Poi arriva luglio 2017, a tre anni dal mio arrivo qui. Un’amica aggredita senza motivo, qualche macchina spaccata. La sensazione di qualcosa di negativo, di marcio, che molti provano a ricondurre alla facile retorica dell’immigrato.

Puntuale arriva il mio turno. Sì, è successo a me. Mezzogiorno, forse mezzogiorno e mezzo. Parcheggio la macchina sotto casa, il tempo di prendere due cose e andare in bagno. Scendo con Maria Gaia e trovo la macchina con un vetro rotto, quello accanto al finestrino, proprio sopra la maniglia dello sportello. Pare si chiami deflettore. Mi hanno preso tutto, tutto quello che c’era di valore: il tom tom, un classico dei furtarelli di strada, l’autoradio e quel sub-woofer che mi avevano regalato gli amici a diciotto anni e non avevo mai spostato, malgrado l’ingombro di quasi mezzo bagagliaio.

Arriva un vicino, un uomo mai visto dall’accento strano, ben piazzato. Mi dice che ha visto tutto, che ha chiamato il 113 e sa dove sono andati i ladri. “Ho visto tutto” ripete, e malgrado la situazione mi viene in mente Herbert Ballerina. Vabbé. Non ci penso due volte: salto in macchina, la sua macchina, e partiamo all’inseguimento. Parto, in verità. Trovati i due ladri, lui decide di rimanere in macchina. “Ho paura, non voglio essere riconosciuto” mi dice, e non posso che dargli ragione.

Io scendo, li fermo e comincio a urlare. Quella roba è mia, mi dovete ridare tutto. Sono due marocchini, avranno qualche anno meno di me. Mi parla solo uno, inventa due cazzate, mi dice di non urlare perché dopo urla lui. Ed io continuo urlare, a ripetere il mio ritornello. Mi devono ridare tutto. Mi chiede 10 €, un’estorsione low profile, che io non ho e comunque non gli voglio dare. Mi devono ridare tutto. Tira fuori persino un coltellino svizzero che mi punta contro, in quella strana parodia della malvivenza. Non so come, perché, non so neanche il senso della cosa, ma io continuo a ripetere che mi deve ridare tutto.

E piano piano, incredibile, riprendo davvero tutto. Il subwoofer, l’autoradio, persino il Tom Tom con la borsina che uso per la spesa. Non volevo lasciare nulla, quello era un pezzo di vita che magari vale poco, ma è comunque mio.

Venti minuti dopo arriva la polizia, i ladri sono già introvabili. Mi fanno una lavata di capo, come se avessi commesso una bravata. E come se fosse anche un po’ colpa mia, abitare in quel quartiere.

Lo dico sinceramente: per cinque minuti sono diventato leghista. Anzi, peggio: roba che Salvini mi avrebbe detto “Dai, Adri, non esageriamo. Sono comunque persone”. Perché la reazione è quella cosa brutta che toglie lucidità, che ti fa tornare animale e ti fa agire nello stesso modo.

È durato molto poco. L’errore sta alla base, è una questione di prospettiva. La prima cosa da dire non è che erano dei marocchini, ma che erano dei poveracci, gente senza una lira che sopravvive così, alla giornata. Intendiamoci, sono dei pezzi di merda. Questo non giustifica nulla. Ma ecco, la causa di tutto questo sta nel degrado, nella rassegnazione, in un certo vezzo comune nello spostare gli occhi poco più in là, verso la Mole, via Roma, la Torino da cartolina.

La lotta alla povertà è stato un pallino nella campagna elettorale del sindaco Chiara Appendino. A costo di sacrificare tutto, persino quella aurea di vitalità che aveva contraddisitnto la fredda Torino rendendola un po’ più calda.

Tutto è stato sacrificato, davvero. Quello che non si capisce è a favore di cosa, visto l’andazzo. Altro che marocchini.

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