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8-bit

Il GameBoy l’ho ricevuto in prima elementare. Quando dici GameBoy vuoi dire Pokémon, per me ed i miei amici. La Poké-mania è cominciata proprio in quegli anni, contemporanea alle Spice Girls e alle scarpine con le luci. Una vita fa. Nell’edificio Golfarelli, la mia scuola elementare, almeno un bambino ogni due aveva quella piccola miniera di sogni. La ricreazione era il momento per scambi e sfide all’ultimo Pokémon, ma già dalla prima ora si organizzavano commerci, transazioni più o meno fruttuose. Li dovevamo conquistare tutti, come diceva la pubbilicità.


Passavamo ore su quello schermo, ed è lì che ci siamo fregati del tutto. Ancora oggi, di notte, mi capita di sentire una musica sinistra che conosco: mi ritrovo a Lavandonia, il lugubre cimitero dei Pokémon presente nel gioco. Talvolta mi alzo per vedere se ho lasciato il GameBoy acceso, dimenticandomi che al momento si trova a più di ottocento chilometri da qui. Alcune voci in rete parlano di bambini che si sono suicidati per quelle terribili nenie.

Siamo la generazione di Lavandonia. Una generazione di fulminati, proprio come il nostro Pikachu. Le occhiaie, i mal di testa giornalieri, i piccoli tremori di pollice e indice destro sono nati sugli otto tasti del GameBoy.


Le cose diventarono più stimolanti con la nuova versione del videogioco. Era il 6 aprile 2001, a ridosso del mio ultimo compleanno prima di cominciare le medie. I Pokémon erano diventati 251, le città da visitare raddoppiate. Mentre la scienza s’interrogava sulla pecora Dolly, noi di quinta siamo riusciti a trovare il trucco per clonare i nostri Pokémon. Una rivoluzione copernicana, un evento di cui parlare per mesi tra la scuola e i pomeriggi con gli amici.

Le feste di compleanno erano le occasioni più propizie per affari sugli scambi, con le nonne che portavano l’aranciata amara e la doppia fetta di torta. Erano tempi spensierati, e la felicità durava quanto le pile che alimentavano il GameBoy, nemico giurato delle nostre madri, che all’ora di cena si sentivano rispondere ogni volta: “Aspetta mamma! Sto finendo la Lega Pokémon!”.


Il GameBoy accompagnò il passaggio alle scuole medie, un momento epocale per la crescita: non era più permesso dare del tu agli insegnanti e gli stessi nomi per definire le cose erano divenuti più austeri: la mestra era diventata professoressa, voti come bene o bravissimo si erano trasformati in sufficiente o distinto.

Un giorno ci ritrovammo tutti un po’cambiati. Il GameBoy venne appoggiato da qualche parte, e una leggera pausa divenne la fine di un’epoca. Ci dedicammo al pallone, alla Playstation e alle ragazze, cercando spesso di unire le tre cose. Ci eravamo evoluti con malinconia, come un Pikachu a cui dai una pietratuono. Ogni anno puntualmente si parlava dei bei tempi e si proponevano partite che non si facevano mai.


Non ero più un boy, non era più tempo di game. Ma le cassettine le ho messe da parte, e un giorno ripasserò da Lavandonia, e mi prenderò coraggio, per cercare di catturarli tutti.



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