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Fette di limone - Paolo Villaggio NON è Fantozzi

  • Immagine del redattore: Adriano Pugno
    Adriano Pugno
  • 5 lug 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

L’altro ieri ci ha lasciato il grande Paolo Villaggio. Tanti, tantissimi i messaggi di cordoglio, i saluti di un pubblico che lo ha sempre amato, in tutte le sue maschere.

Tanti messaggi, forse troppi. La morte di un personaggio famoso scatena la tendenza a metterci la firma, a dire che ci sono anche io, che anche io sono un suo grande ammiratore, anzi, sono il più grande ammiratore di tutti.

Sciacallaggio indolore, questo, che si declina spesso, ancora più odiosamente, nel suo diretto opposto: la critica velenosa, tanto per, fatta rigorosamente il giorno dopo. Un modo per apparire, per distinguersi goffamente dal mucchio.

Una sorta di assuefezione da social mi ha consentito di saltare a piè pari i vari “A me Fantozzi non è mai piaciuto”. Commento più che lecito, intendiamoci, ma chi se ne frega.

A me non piace il radicchio, ma non credo di aver mai scritto nulla a riguardo.

Molto più preoccupanti quelli che pensavano che fosse morto Fantozzi, o che criticavano Villaggio per la meschinità del suo Fantozzi. Che è in fondo la stessa cosa.

Si può identificare un autore al suo personaggio? No, assolutamente. Vladimir Nabokov non era un pedofilo, e ha comunque scritto Lolita. Persino il protagonista di un autobiografia non coincide con il suo autore, e tutto questo tramite il potere che ha la letteratura di trasfigurare e di creare vettori di senso.

Prendiamo la corazzata Potemkin, che secondo Fantozzi è una cagata pazzesca. E giù 92 minuti di applausi. Tanti, troppi commentatori hanno voluto puntualizzare che in questo caso Paolo Villaggio (lui! Non Fantozzi!) si sbagliava, che è un capolavoro, un film meraviglioso.

Un giornalista come Antonio Polito lo ha stigmatizzato su Twitter, bacchettando il povero Fantozzi.

I Wu Ming se la sono presa direttamente con Paolo Villaggio, accusandolo di aver commesso addirittura un “danno culturale”.

Quello che è ovvio, semmai, è che un manifesto di liberazione come la corazzata Potemkin, nel Secondo tragico Fantozzi, diventi una forma di sfruttamento, con i poveri operai costretti a sopportare il cineforum aziendale quando avrebbero preferito Italia - Inghilterra.

Opporsi a tutto questo, definirlo una cagata pazzesca, è un ammutinamento che omaggia l’ammutinamento del capolavoro di Eisestein.

Wu Ming ha corretto il tiro in un articolo successivo, dove riconosce come la gag di Fantozzi non fosse che un sottile remake della corazzata, ma dove denuncia come della critica sociale fatta da Villaggio non sia rimasto nulla, soltanto un certo tipo di anti-intellettualismo. E giù una tirata contro la comicità.

Quello che rimane, dopo due giorni di critiche e omaggi un tanto al chilo, è il senso di occasione perduta. E di un internet che segue la pancia del paese, ma è sempre più lontano dalla sua testa. Chissà, quasi quasi era meglio il cineforum del professor Guidobaldo Maria Riccardelli.

 
 
 

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Tanto per riassumere

Ho 26 anni e sono cresciuto a Montefiascone. Ora vivo a Torino, e sono passato dalla Fiera del vino al Salone del libro. Onestamente mi trovo bene in tutti e due.

 

Mi sono laureato in Lettere con una tesi sulla narrazione tra fiction e realtà di Cercas e Saviano, mentre alla Scuola Holden mi sono diplomato con un progetto sulla televisione a cavallo del secolo, parlando dell’Uomo Gatto e di Ciao Darwin.

 

Scrivo articoli per Repubblica, Vice e Tropismi. Amo comporre canzoni demenziali, guardare Techetechetè e ascoltare cose che andavano di moda 50 anni fa. Ma non nello stesso momento.

Al momento collaboro con la Scuola Holden. Mi occupo di Corporate Storytelling.

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