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Fette di limone - Anni 90 e la nostalgia canaglia

  • Immagine del redattore: Adriano Pugno
    Adriano Pugno
  • 1 mar 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Chi mi conosce sa quanto mi senta un figlio degli anni ‘90. Quanto vada continuamente a cercarne i pezzi, le costellazioni, i motivi. I tramezzini con lo stecchino a bandierina, i Jalisse, l’aranciata amara, gli 883, Cioè, Cristina D’Avena, il codino di Fiorello, il Cremino, Massimo Lopez prigioniero per la Telecom, la Macarena, il pennello grande e il grande pennello.

E non c’è stato niente di meglio dopo, direbbe Flaubert.

Che poi, a pensarci, gli anni ‘90 non hanno un filo conduttore. Un’etichetta. Dici anni ‘80 e pensi alla disco, anni ‘70 ed è subito California Dreamin’ e vestiti da hippy. Gli anni ‘90 invece no, sono una serie di reliquie diverse che arredano il nulla. Un nulla che vuol dire fine: fine delle due grandi fedi, cattolica e comunista, fine delle tradizioni, che ormai è roba da slow food e nazionalisti di ritorno, fine dei Maestri, fine della fiducia in qualcosa. Il fatto che questo concetto riunisca un film come Trainspotting e Cumuli degli 883 è abbastanza inquietante ma tant’è. L’alternativa per entrambi è la droga. Io ho sempre preferito il Maxibon, che du gust is megl che uan.

Il citazionismo è bello quando è ricerca, rivisitazione. Riappropriazione o distacco ironico. Prima lo facevano in pochi, o magari erano molti di più e non lo sapevamo. Oggi la nostalgia è il tema su cui si basa la società, dall'instant marketing a gran parte della musica indie, dalla vincitrice di Sanremo ai vari reboot, sequel, prequel.

Lo confesso, per me è una goduria. La grande occasione per parlare di ciò che mi interessa, rispolverare il camper delle MicroMachines, comprare al mercato Festivalbar rosso 1998 senza sentirmi strano.

Poi mi guardo intorno e vedo soltanto involucri. Menzioni vuote, come se il nome bastasse per far apparire una cosa e tutto quello che è intorno. La mortificazione del postmoderno: dal gioco colto delle citazioni alle frasette sui meme, dal Nome della rosa alla frase di Nietzsche sulla foto in costume e l’espressione pseudo-pensierosa.

Un po’ come il Winner Taco. Petizioni per rimetterlo in commercio, flashmob, pagine Facebook. Ce lo hanno ridato, con tutto un altro sapore. Sapore di nuovo, di vuoto. Ma il nome, lo giuro, era sempre quello.

I motivi sono due, ugualmente preoccupanti. Riguardano la produzione e la ricezione. Da una parte c’è la sfiducia verso qualsiasi tipo di produzione, pensiero originali. Come se il terreno per costruire fosse sempre più friabile, le fondamenta impossibili, il materiale di scarso livello. Dall’altra c’è un modo di ragionare sempre più relegato alla battuta mordace, la corsa al meme più simpatico, il tweet di successo. Non c’è più differenza tra Il Fatto Quotidiano e i Socialisti gaudenti: tutto è orientato verso l’infotainment cotto e mangiato.

La grande abbuffata di idoli e feticci, di #machenesannoi2000 e Operazione Nostalgia, porterà alla nausea. Sfruttiamo questi ultimi momenti. Spieghiamo chi era Ronaldo, com’è cambiato il linguaggio dopo la discesa in campo del ‘94, cosa ha rappresentato un libro come Jack Frusciante è uscito dal gruppo, o magari perché il teschio di Solletico sia l’esemplificazione migliore di quegli anni. Facciamolo prima che sia troppo tardi, prima di averne una sorda nostalgia.


 
 
 

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Tanto per riassumere

Ho 26 anni e sono cresciuto a Montefiascone. Ora vivo a Torino, e sono passato dalla Fiera del vino al Salone del libro. Onestamente mi trovo bene in tutti e due.

 

Mi sono laureato in Lettere con una tesi sulla narrazione tra fiction e realtà di Cercas e Saviano, mentre alla Scuola Holden mi sono diplomato con un progetto sulla televisione a cavallo del secolo, parlando dell’Uomo Gatto e di Ciao Darwin.

 

Scrivo articoli per Repubblica, Vice e Tropismi. Amo comporre canzoni demenziali, guardare Techetechetè e ascoltare cose che andavano di moda 50 anni fa. Ma non nello stesso momento.

Al momento collaboro con la Scuola Holden. Mi occupo di Corporate Storytelling.

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