Fette di limone - Bologna, ri-tornello triste
Ogni volta che penso a Bologna è un viaggio amaro. Un ritorno in una città in cui ho vissuto cinque anni bellissimi, una città che ti fa sentire a casa da quando vedi il San Luca dall’autostrada, dall’autogrill Cantagallo. Sì, come quello di Robin Hood.
Una città che avrebbe tutto per essere perfetta. Cultura, cucina, tradizioni, vitalità.
Non conosco la Bologna di Guccini, pur avendo vissuto a due metri dalla famosa via Paolo Fabbri, e neanche quella degli Skiantos. Conosco la Bologna dell’ultimo decennio, e quello che fa male è che cambia ogni anno. Ogni anno peggio.
Partiamo dai bolognesi. Generalizziamo un po’, ma solo per troppo amore. Bologna è una città che vota a (centro)sinistra per tradizione, per abitudine, ma senza sentimento. Con la voglia, neanche troppo nascosta, di votare più in là. Comportamento ipocrita, vagamente schizofrenico, pieno di conseguenze.
Basti pensare a via Zamboni, la zona universitaria di quello che è l’Ateneo più antico d’Europa. Una perla, qualcosa da valorizzare. Ma gli studenti, gli odiati studenti, fanno casino e non pagano le tasse a Bologna, non votano a Bologna. Ecco quindi che via Zamboni diventa un ghetto, poco lontano dalle vie del lusso e della brava gente.
Da Via Farini a via Zamboni saranno cinque minuti di cammino, pochi metri che separano due mondi diversissimi, estranei. Piazza Verdi, centro geografico e fulcro di Bologna, è il regno del degrado. Minacce, spinte, sporcizia, corpi buttati e rancorosi, furti, piscio secco sulle mura del Teatro Comunale. E la sensazione che, in fondo, non freghi niente a nessuno.
E il sindaco, Merola, votato e rivotato per inerzia, impotenza, che non riesce a pensare a niente di meglio che il divieto di mettere le birre in frigo, l’ingiusto coprifuoco a vie alterne, una serie di ripensamenti e giravolte che porta a un gigantesco vuoto che sta portando via tutto.
L’Università è lì, il centro di ogni cosa, fiaccata e rintanata al suo interno. Le tasse sempre più alte, con la progressiva riduzione delle assicurazioni sanitarie e la mensa più costosa d'Italia. I professori, eroici o in disarmo, alle prese con CFU, occupazioni, sessioni monstre di laurea e un vago senso di impotenza che sta ad aspettare. Chissà poi cosa.
E i movimenti? Bologna la rossa, Bologna capitale della politica è ormai la parodia di se stessa. I movimenti si limitano ai cori da stadio, all’occupazione inutile e vuota di spazi. Sono autoreferenziali, ottusi nella loro protesta a prescindere, l’atteggiamento sicuro di chi sa cos’è giusto, la strafottenza di chi, davvero, non ci ha mai capito niente.
Il famoso CUA, quello di cui si parla tanto, che si prende i complimenti e che si definisce rappresentante di tutti gli studenti, e che gli stessi studenti odiano, riversando l’odio sui social e sulle panche delle poche biblioteche disponibili. Un dialogo impossibile, non voluto da un Collettivo che minaccia, offende, rifiuta ogni forma di critica e autocritica.
Ricordo ancora le occupazioni senza motivo trasformate nelle birre buttate sui banchi, a sfregio. E chi chiedeva maggiore cura, maggiore cuore, veniva definito in un unico modo: solo e soltanto un fascista.
La sintesi di tutto questo è il 36. Un numero che vuol dire soltanto una cosa per un universitario bolognese: la Biblioteca di Discipline Umanistiche, l’enorme sala studio aperta fino alle 24. E la gente più assurda che entra e sparisce, i bagni pieni di siringhe dove c’è scappato pure il morto d’overdose, il maniaco sessuale che ha eiaculato su una studentessa, i computer e le borse rubate. E il Collettivo che risponde occupando, fregandosene, irrompendo con i megafoni, i cori e le maledette maschere di V per vendetta.
Il risultato è che nella città storicamente più di sinistra, nella facoltà più di sinistra, gli studenti chiedano sicurezza e provvedimenti proprio contro il CUA. Che l’università non sappia trovare altro rimedio che l’utilizzo dei tornelli e l’accesso soltanto per gli studenti muniti di badge. Che gli studenti gioiscano, trovino un po’ di serenità con questa soluzione d’emergenza. Che il CUA sradichi i tornelli e occupi il 36, spaccando un po’ tutto. Che le forze dell’ordine irrompano, manganellando a casaccio in uno spazio universitario, universale, senza che nessuno provi un po' di vergogna per questa decisione scellerata.
La stampa vi parlerà di studenti contro l’ateneo, contro le università, contro tutti. Beh, l’aria che si respira all’interno, negli sfoghi sui social e nelle chiacchiere con chi è rimasto, chi resiste, è una denuncia quasi totale contro il CUA, un’apologia del law & order. E la voglia, finalmente, di un po’ di tranquillità. Quant’è lontano il ‘77, il risentimento per Federico Aldovrandi, l’Unibo come polo di idee, di futuro!
La colpa è di tutti, nessuno escluso. Università, politica, movimenti studenteschi, forze dell'ordine. Niente distinguo, niente attenuanti. La vittima, l’unica vittima, è il ricordo di qualcosa di bello, rimasto soltanto in qualche vecchia canzone, nelle osterie dimenticate, negli umarell di oggi e gli studenti di ieri.