Fette di limone - Donne che odiano le donne
Sbagliando, si potrebbe dire che Martin Luther King sia riuscito a dare una svolta alle discriminazioni sui neri semplicemente facendo leva sulla loro atrocità, sull'insensatezza in un mondo che si vuole dire giusto, libero, egalitario. Urlandoglielo in faccia, insomma. "I have a dream", e non potete non ascoltarmi. Come direbbe qualcuno "agile, in scioltezza".
Ma guardate bene le immagini. Quelle originali, se possibile. O se preferite, godetevi un film come Selma. Più che gli eroi, a colpirvi saranno le comunità, l'unione di persone che lottano per i propri diritti. Pride, consapevolezza, senso collettivo. L'unione fa la forza, insomma.
Poi ci sono le donne. Du du du. La strada per l'uguaglianza ha fatto passi avanti, noi uomini abbiamo persino imparato a lavare i piatti e a fare il soffritto. Per il ferro da stiro no, almeno personalmente, ma giuro che mi sto attrezzando. Certo, ci sono ancora molti step da superare: il luogo comune della chiave e la serratura, i pregiudizi lavorativi, l'abbrutimento da social, le battutine umilianti.
Ma è possibile farlo senza un vero desiderio collettivo di superare certi paletti, di pretendere un rispetto che non sia assoluto ma semplicemente identico a quello maschile?
Prendete lei. Si chiama Diletta Leotta, e se non la conoscete potrete capire dalla foto che è bellissima. Chi bazzica su Sky Sport o sui social sa che è anche una ragazza spigliata e simpaticissima. Tifa Catania, e sarebbe interessante sapere se ricorda con più nostalgia Morimoto o Marco Biagianti.
La Leotta è stata vittima di un hackeraggio simile a quello subito da Jennifer Lawrence e da altre star di Hollywood. Le sue foto sono state spiattellate per la rete, la sua bacheca è diventata un luogo infame. Lei, tutto sommato, non si è piegata al cyber-bullismo e all'umiliazione ai tempi di Facebook: è andata avanti, ha continuato a fare il suo mestiere senza piangersi addosso e ha affidato alla magistratura la ricerca della verità e di un po' di giustizia.
Ieri è salita sull'Ariston, ospite della prima puntata di Sanremo, e dopo qualche battuta di rito ha raccontato brevemente cosa ha dovuto subire. Mi ha colpito l'assenza di voce incrinata, sguardo contrito o tutto il repertorio che avrebbe amato Barbara D'Urso: lo stile è stato asciutto, giornalistico, il migliore per far passare il messaggio.
Su Twitter, tra i complimenti e qualche innocua battutina, hanno spiccato due voci fuori dal coro. Due esempi di maschilismo abbastanza banale.
Elisa D'Ospina è una modella curvy, Caterina Balivo è la "frizzante" conduttrice di Detto Fatto. Donne. Donne che criticano una donna che sta parlando di una grave, gravissima violazione della privacy. E questo perché? Perché ha una scollatura. Come se poi si potesse salire sull'Ariston in tuta e scarpe da ginnastica.
Il non detto, chiarissimo, è che una donna così scollata, così a suo agio con il proprio corpo, quella violazione se l'è cercata e meritata.
Mi sono spesso chiesto il perché. Un po' me la spiego così: il pregiudizio riesce a mantenere una disuguaglianza, una distinzione tra la donna pura, di sani principi, e la donna considerata di facili costumi. La Balivo e la D'Ospina, per farsi accettare in un mondo maschilista, non hanno scelto di difendere la categoria ma loro stesse.
E pensa a se stessa ogni donna che ipotizza un servizietto quando vede una bella ragazza di successo, ogni donna che utilizza il termine troia al posto di intraprendente o sicura di sé, ogni donna che "No, io non mi masturbo, è una cosa schifosa" e che "Beh, vestita così è normale che ti facciano certe cose, a me chissà perché non succede mai". Eh già, chissà perché.
Capiamoci: questo non vuol dire che il maschilismo sia colpa delle donne. Il sistema questo è, ci abbiamo vissuto per secoli e ci accompagnerà per molto tempo. Ma se le stesse vittime di questo sistema lo difendono, lo sostengono dalle basi, ne rimarranno sempre impantanate.
E le Balivo si sentiranno sempre un gradino sopra. Un gradino sopra cosa, è meglio non saperlo.