Fette di limone - Saviano e le giurie popolari
Giusto per capirci: il problema non è che l'esponente di punta del primo partito del paese abbia proposto la creazione di giurie popolari, un organo creato ad hoc "che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media". Cittadini scelti a sorte per valutare se una notizia è vera o una bufala, e tutto questo in un mondo dove parecchi non riescono più a distinguere una notizia di Leggo da una di Lercio, per non parlare del famigerato Fatto Quotidaino.
Il problema è che, sotto sotto, a gran parte di noi non interessa un'informazione imparziale, libera, combattiva. Abituati come siamo ad un servizio pubblico, la RAI, lottizzato dalla politica, al conflitto d'interessi e a un giornalismo diviso tra isterismo e piaggeria, non riusciamo più a immaginare un modo diverso di fare giornalismo. Un mondo alla rovescia dove la bufala della Rete, secondo una certa vulgata, diventa bufala del popolo, volta a contrastare le cosiddette bufale mainstream, create ad arte da chi ci governa. Una lotta tra Davide e Golia dove a perderci è soltanto la comprensione di qualcosa che possa avvicinarsi al concetto di verità.
Sono tanti, tantissimi a tenersi aggiornati attraverso i tragicomici blog di questa o quella parte politica (le bufale sugli immigrati di imolaoggi, la macchina del fango e del clickbaiting sul Club Luigi Di Maio). L'impressione è che non possano non sapere che ciò che stanno leggendo è tutta una serie di mistificazioni, falsità. Come se la realtà non fosse più importante, al massimo ancillare all'idea soggettiva e quindi sacrosanta che ci siamo fatti della vita, l'universo e tutto il resto, un'idea che tifiamo con tutte le nostre forze.
Lo stesso che è successo a Napoli. Saviano denuncia una sparatoria, l'ennesima, che ferisce persino una bambina. Il sindaco De Magistris reagisce con una reprimenda durissima, un giudizio senza appello sullo scrittore partenopeo. Il motivo? Saviano non aderisce alla nuova narrazione che De Magistris ha imposto su Napoli. Un mandato positivo, il suo, che sta ottenendo grossi risultati sul campo del turismo e non solo.
Ma cosa c'entra questo con la camorra, con una situazione che, per utilizzare un gergo caro a Saviano, è ormai incistata nel ventre della città? Niente, la verità non si può cancellare. Non si dovrebbe, almeno.
Ma la verità di Saviano, secondo De Magistris, è una verità su cui lo scrittore lucra. Perché il giornalista, è bene saperlo, ha il difetto di guadagnare dei soldi, così come il macellaio, l'idraulico e il visagista. Io non so neanche che mestiere sia il visagista, ma secondo Elio e le storie tese è truccatissimo, e di loro ci si può fidare.
Saviano è invitato da De Magistris e dai tanti detrattori napoletani a tornare a casa e combattere con loro. Chi se ne frega della scorta, delle minacce, del fatto che nessuno vuole vendere o affittare casa a un personaggio del genere, col rischio di minacce e vendette subito dopo il rogito. Saviano deve tornare a casa a combattere. Combattere come? Candidandosi a sindaco? Diventando un novello Clint Eastwood con la colt e la sigaretta tra i denti?
Tutto ma non l'informazione. Aderire a un messaggio positivo, fidarsi degli uomini al comando, gli uomini del fare. Per non fare la parte dei gufi. Oppure trasformarci noi stessi in uomini del fare, diventare obbligatoriamente parte in causa. Chi se ne frega dell'analisi, dei dati: per quelli ci stanno i meme su Facebook.
Il problema, l'ho detto, non è proporre le giurie popolari. Il problema è che queste esistono e prosperano da alcuni anni, incontrastate, e l'unica soluzione che ci viene in mente è la censura, chiudere il web o affidarsi alle sbroccate di Mentana su Facebook.
P.S. Leggo proprio ora queste parole di Obama pronunciate durante il suo discorso finale. Che dire, le condivido in pieno e le uso per chiudere l'articolo di oggi.
Per molti di noi è diventato più comodo ritirarci nelle nostre bolle, che sia il nostro quartiere o il nostro college o la nostra chiesa o i social network, circondati da persone esattamente come noi con le nostre stesse idee politiche, e non metterci mai in discussione. La frammentazione dei nuovi media – un canale per ogni gusto – rende questo isolamento naturale, persino inevitabile. E ci sentiamo così sicuri dentro le nostre bolle che accettiamo solo informazioni compatibili con le nostre opinioni, vere o false, invece che basare le nostre opinioni sui fatti. [...] Questa è una terza minaccia per la nostra democrazia. La politica è una battaglia di idee. In un dibattito sano, daremo priorità alla discussione di certi obiettivi e dei diversi modi per raggiungerli. Ma senza una base comune di fatti, senza la volontà di ammettere l’esistenza di nuove informazioni, senza saper concedere che a volte il tuo avversario ha dei buoni argomenti, e che la scienza e la ragione sono importanti, continueremo a parlarci uno sull’altro, rendendo impossibile trovare un terreno comune e fare compromessi.