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Fette di limone - Una cosa divertente che non farò mai Pooh


A ben vedere, le band sono un meccanismo gerarchico dove c’è uno famoso, il più delle volte il cantante, e gli altri da contorno. Di solito c’è uno bello o un musicista particolarmente bravo, e magari si salva dall’oblio.

Ma insomma, fateci caso: i Nirvana sono Kurt Cobain e qualcun altro, i Genesis sono Peter Gabriel, Phil Collins e qualcun altro, i Take That sono Robbie Williams e qualcun altro. In Italia le cose non cambiano: i Negramaro sono Giuliano Sangiorgi, i suoi falsetti e qualcun altro. I Lunapop erano Cremonini, quello con i rasta (al secolo Ballo) e qualcun altro. I Subsonica sono Boosta (che non è neanche il cantante!) e qualcun altro.

Certo, l’appassionato non sarà d’accordo, ma quello conosce discografie intere e ghost-track, vive su Rockol.it e ride su Noisey. I gruppi sono come il Movimento 5 stelle: uno vale uno, certo, ma poi quello famoso è Beppe Grillo.

Poi ci sono le eccezioni, i mostri sacri. Le formazioni che conosci a memoria, come quelle dell’Italia ‘82. Queen: Mercury, May, Deacon, Taylor. Beatles: McCartney, Lennon, Harrison, Starr. Pink Floyd: Barrett/Gilmour, Waters, Wright, Mason. Ma qui la musica si fonde con il mito, con le leggende metropolitane, con qualcosa di indefinibile che fa la differenza.

E in Italia? La P.F.M. è sparita. I Litfiba si sono divisi e la loro reunion, beh, lasciamo perdere. I CCCP tornano nel dibattito pubblico soltanto per le stranezze di Lindo Ferretti, passato dal punk filo-sovietico ai meeting di CL. Quello che balla degli 883 è sparito, Cisco pure, e Pezzali da solo più di tanto non può fare.

Ma c’è un’unione, più forte di tutto e di tutti, che si rinnova da cinquant’anni. Cinquant’anni di musica, di concerti e decine di greatest hits, più degli stessi album in studio.

La formazione? Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian, Stefano D’Orazio. E Riccardo Fogli, ogni tanto, a mendicare un posto.

Il nome, ovviamente, è quello dei Pooh.

Parliamoci chiaro: non sono un fan dei Pooh. Li ho conosciuti con Dammi solo un minuto e Chi fermerà la musica, e queste canzoni le ho scoperte tramite le cover dei Gem Boy. Giusto per darvi un’idea. Poi sono arrivate Piccola Katy, la splendida Noi due nel mondo e nell’anima, quel Dio delle cittuà e dell’immensuità. Ma non sono mai arrivato a più di nove, dieci canzoni.

Poi arriva il 2016. L’ultimo tour, e questa volta sembra che sia vero. Ѐ tornato perfino Riccardo Fogli, per dire. Una tourneè che tocca gli stadi e i palazzetti, un successo di pubblico ovunque. E tanta voglia di loro, di salutare un gruppo storico che non ho mai ascoltato davvero. Troppo importante l’avvenimento, la sua unicità. Come quelle comete che non passeranno per altri quattro o cinque secoli, come lo scudetto del Leicester o Willy il Coyote che finalmente cattura Beep Beep. Questa è l’ultima volta. O adesso o mai più. E io ho scelto adesso.

Ovviamente non mi accompagna nessuno. Il prezzo del biglietto è quello che è, certo, ma in fondo ad avere la meglio è una sorta di pudore, la credenza che andare al concerto dei Pooh, a ventisei anni, non sia il massimo della vita. Meglio i Thegiornalisti, i Ministri, le Luci della centrale elettrica, che si può fare lo stato su Facebook e permettersi arie alternative.

Arrivo al Pala Alpitour con due ore di anticipo. Ѐ il 17 dicembre 2016, quintultimo concerto dei Pooh. Il 30, a Bologna, finiranno per davvero.

Trovo un posto poco lontano. Lungo la strada incontro un venditore abusivo di merchandise da concerto. Sfido il coraggio e i miei ventisei anni, mi compro una bandana. Sorrido, parlo del tempo, cerco di dissimulare l’imbarazzo di una scena surreale. Mi sento l’unico al mondo con una bandana dei Pooh, una cosa che non metterebbe neanche Francesco Facchinetti.

Al Pala Alpitour le file sono ordinate e chiassose. C’è allegria, voglia di festa e di Natale anticipato. L’età media è sui 55 anni, gente cresciuta nel beat e nel progressive. Lo dice Wikipedia, mi impongo che sia vero. Sono clamorosamente il più piccolo, l’unico sotto i 35 anni. Aiuto alcune vecchine a districarsi con gli ordini di AltanTicket e i posti prioritari, annuso l’aria fuori dal palazzetto, sempre uguale, fatta di panini con la salsiccia e vento freddo. Finalmente sono dentro.

Ѐ veramente molto presto, e quella bandana è sotto gli occhi di tutti. Perdo tempo nel chioschetto Alpitour, che regala un gadget a chi si iscrive. Metto il mio numero vecchio e una mail fasulla, ottengo una penna. Decido finalmente di entrare, il mio posto è tra un vecchino che controlla sullo smartphone la partita della Juve e una seggiola tristemente vuota. Mi metto comodo, comincia lo spettacolo. Che peraltro verrà trasmesso nei cinema di Torino, e sarei curioso di sapere chi lo ha visto.

Per primo entra Facchinetti. Il più riconoscibile, forse il più televisivo. Si sistema tra le tre tastiere, l’atmosfera è quella delle grandi occasioni con un tocco di vintage che non guasta. Poi Canzian, D’Orazio e Battaglia, che è il mio preferito. Fogli non si vede, almeno per ora. Qualcuno parlotta sopra di me: magari è malato? La maggior parte se ne frega, comincia l’evento e si canta. C’è una coppia di trentenni sotto di me con la scaletta in mano. Le cantano tutte a memoria e la cosa mi tranquillizza. I Pooh si alternano alla voce e ci danno dentro con gli strumenti. Sorridono, sono sinceramente felici di stare lì davanti. Mi viene in mente un concerto dei Radiohead a Bologna, la voce svogliata di Thom Yorke, e decido subito da che parte stare. Il concerto vero e proprio, per il pubblico, comincia alla quinta canzone. Dammi un solo minuto, un soffio di fiato, un attimo ancora. Facchinetti canta che sembra stia vomitando, come sempre, ed è bellissimo così. Red ammicca a tutti, risvegliando gli ormoni di qualche signora attempata. D’Orazio è tornato per l’occasione, aveva deciso di lasciare ma ci ha ripensato subito. Fogli ci ha ripensato dopo 43 anni, e per probabile punizione alla sesta canzone non si è ancora visto. Finalmente sale sul palco, sulle note di Piccola Katy. Abbraccia tutti, dispensa carezze e sorrisi, sembra il musical della parabola del Figliol prodigo. Da lì in poi salirà e scenderà continuamente dal palco, un po’ come gli avari e i prodighi nella Divina Commedia.

I Pooh scandiscono il concerto sottolineando le loro varie anime. Il palco spesso cambia forma, la batteria si trasforma in percussioni orientali con tanto di gong, le chitarre diventano a due manici e i testi passano dalle notti terra terra di Dimmi di sì all’evocazione di Parsifal. Bisogna ammetterlo: musicalmente sono veramente bravissimi. Ognuno di loro canta e suona diversi strumenti, persino quell’ingrato di Riccardo Fogli. La prima standing ovation arriva con Pierre, uno dei primi travestiti nella storia della musica italiana. Le urla di Facchinetti, accompagnate da pianoforte e poco altro, trasportano ed emozionano. Cominciano le prime ovazioni.

Le tre ore di musica sono intervallate da qualche intermezzo discorsivo, dove i Pooh si commuovono nel raccontare cinquant’anni insieme. Dicono che se quello è l'arrivo, beh, ne è davvero valsa la pena. Mi sono messo a pensare che forse non esiste nessuno, in Italia, che consideri i Pooh il loro gruppo preferito, o che scelga uno dei loro classici come canzone del cuore. Ma loro sono rimasti là per mezzo secolo, cambiando e rimanendo uguali a loro stessi. Un po’ come la Rustichella all’Autogrill, la Democrazia Cristiana e Una poltrona per due il 24 dicembre.

Ma è con la pirotecnica sequenza finale che il pubblico comincia a scomporsi, ad alzarsi in piedi e spingersi al bordo del palco. Noi due nel mondo e nell’anima, Il cielo è blu sopra le nuvole, Tanta voglia di lei e un palazzetto che canta pensando ai flirt di tanti anni fa, quando non c’era Facebook e ci si impezzava facendosi mandare dalla mamma a prendere il latte. Un’escalation che fa diventare Chi fermerà musica un esorcismo emblematico e Pensiero un coro da stadio.

Il concerto finisce con un brano d’occasione, quella Fammi cantare ancora una canzone che è quasi una preghiera. Partono i coriandoli, la festa comincia e già finisce. Il 30 sarà l’ultimo concerto, e scommetto che qualcuno ci vorrebbe ripensare. Mi confondo tra la gente che esce, alcuni li stanno davvero seguendo in tour. Roma, Milano, Treviso e infine Bologna. Come ai vecchi tempi, quelli che non cambiano mai e alla fine, chissà come, finiscono.

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