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Fette di limone - Lo sguardo all'indietro


Gil Elvgren - Splash in the city

Il trucco, semplicemente, è andare a fondo in tutte quelle cose che sembrano inspiegabili. Prendi la Scuola Holden. Appena arrivati, ci viene affidato un mantra. Una diapositiva, un'immagine casuale. Un tema. E il compito di tirarci fuori di tutto, di spiegarlo agli altri e a se stessi.

Il mio mantra è questa immagine. Splash in the city di Gil Elvgren. Semplicemente, lo sguardo all'indietro. Troppo bello per essere solo una coincidenza.

Sono nostalgico fin da bambino, da quando insomma non avevo ancora vissuto un numero decente di esperienze per poterne avere malinconia. In televisione uscivano i Biker Mice e io avevo già nostalgia per le Tartarughe Ninja.

Ma guardare indietro, a volte, può essere fatale.

Vi voglio raccontare una storia. Una storia antichissima. A sud di Tokyo, sulla costa di Futami, ci sono due grandi rocce in mezzo al mare. Sono ben visibili, perché sono sposate. La più grande, massiccia e alta, è Izanaki. La roccia vicina, più esile, è sua moglie Izanami. Izanaki e Izanami, secondo la tradizione e la religione, hanno creato il Giappone, pescando le isole dal mare. I due, fratello e sorella, nascono già giovani sposi, e con curiosità e incertezze si avviano verso una lunga vita, in cui la loro unica, continua azione sarà un amore fecondo, tutto concentrato nel creare ogni più piccola parte del Giappone. Pur essendo una bellissima storia d'amore, non ha un lieto fine. Izanami dà alla luce l'ultimo figlio, il dio del fuoco, e dando il fuoco al mondo ne rimane scottata durante il parto, e dopo una lunga, dolorosa malattia muore. Izanami è la prima cosa che muore al mondo, nella religione giapponese. Nessuno se lo aspetta, nessuno può credere che si possa morire. Tantomeno il marito crede di poter perdere l'amatissima moglie e sorella, e, come fosse stato un semplice capriccio, scende negli inferi a chiamarla, a dirle «Mia cara, amata mia, il mondo da noi creato non è completo. Devi tornare.»

Izanami allora contratta con i signori dell'aldilà. Ma è una donna intelligente, e sa che qualcosa non va per il verso giusto, così chiede al marito di non guardare nulla mentre aspetta. Deve girarsi senza mai guardare indietro. Izanaki, come un bambino, pesta i piedi nella noia e presto accende una fiaccola per curiosare. Il suo sguardo incontra l'ovvio: il corpo di sua moglie, pieno di spiriti e insetti, è già in decomposizione. Izanami, umiliata per la vergogna, lo scaccia per sempre. Mortificata per quanto avvenuto, Izanami pone un confine e un accordo di divorzio che peserà su tutta la creazione: per punire il suo sguardo, ogni giorno toglierà mille vite umane dal mondo. Suo marito ora sa che con la morte non si scherza, e da lontano le risponde che ogni giorno lui farà costruire millecinquecento capanne per il parto.

Izanami e Izanaki non si rivedranno più. Non per punizione, ma per naturale separazione tra vita e morte. Izanaki accetta il tempo, e accettando va avanti: esce dagli inferi senza più voltarsi e corre a bagnarsi nel fiume. Dal suo gesto di accettazione, nel lavarsi il viso, Izanaki crea per il mondo il sole, la luna, e le forze dei venti e del mare.

Questa accettazione del tempo, del naturale destino del cosmo, non appartiene a Orfeo. Orfeo non è un dio, e scende negli inferi da umano, ma ha qualcosa che tutti gli dei gli invidiano: la voce e la lira. Orfeo è cantore, e con il suo canto muove forze della natura che non gli competono. Questo potere lo acceca, lo spinge nel Tartaro a cercare Euridice, dove i suoi versi placano persino le bocche di Cerbero e il giudizio di Persefone. È con la parola che Orfeo, come Izanami, ottiene il patto: non c'è nulla di divino in questo. Ma altrettanto umana è la sua indole, quando, durante il ritorno, si volta a guardare Euridice, con un movimento folle, insensato, che lo spinge a guardare verso il regno dei morti anziché verso quello dei vivi.

Secondo alcuni, Orfeo l'ha fatto apposta. Orfeo ha guardato indietro per capire che il suo canto ci sarebbe stato anche senza Euridice. Orfeo avrebbe deciso quindi di disfarsi del suo passato una volta per tutte. Quella rappresentata è la prospettiva tipica dell’artista, che scava nel passato per ricavarne una fonte per le proprie opere. Il prezzo da pagare per questo sguardo all’indietro è la definitiva perdita del passato.

Ce lo ha spiegato bene Holden Caulfield, in quella stupenda frase finale che leggiamo ogni giorno impressa sul muro della nostra scuola: “It's funny. Don't ever tell anybody anything. If you do, you start missing everybody”. Questo è il monito di Holden, che non rinuncia comunque a raccontare la sua storia, a guardare all’indietro per trovare un senso e poter abbandonare finalmente il passato. Lo aveva capito anche Forrest Gump:

My Mama always said you've got to put the past behind you before you can move on.

Guardare all’indietro è una delle più tipiche forme conoscitive. “La vita può essere compresa solo guardando indietro, anche se dev’essere vissuta guardando avanti – ossia verso qualcosa che non esiste”. Questo dice Claudio Magris. Potremmo applicare il suo ragionamento a una delle opere più importanti del nostro tempo, Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Un’opera letteraria e filosofica durata vent’anni, finalizzata a un unico grande scopo: disinnescare il tempo. Capire da cosa il tempo è composto per poterne fuggire. Una lezione che abbiamo ripreso bene noi contemporanei, come ci dimostra David Shields, uno dei più importanti critici letterari del nostro tempo. Nel suo Fame di realtà, Shields indica come lo sguardo all’indietro sia la cifra distintiva della non fiction e in generale della letteratura dei nostri giorni. Tutto il genere dell’autobiografia, delle confessioni, delle memorie è un’indagine conoscitiva su se stessi e insieme un tentativo di fermare il tempo.

Come fosse possibile.

Eppure questa soluzione non mi convince fino in fondo. Rimane eterna l'immagine che accompagna la morte di Orfeo, fatto a pezzi dalle donne di Dioniso perché rifiutava il loro amore: la sua testa, galleggiando senza corpo sulle acque, continua ancora e ancora a girarsi indietro per chiamare qualcosa che ha perso ma che sta finalmente per ritrovare. La sua Euridice.

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