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Fette di limone - I babbi natale

  • Immagine del redattore: Adriano Pugno
    Adriano Pugno
  • 9 nov 2016
  • Tempo di lettura: 2 min


Ho sempre preferito stare davanti. In macchina, dico. Per scalzare mia madre, mi sono fatto navigatore satellitare quando il Tom Tom ancora non esisteva. Studiavo l’atlante stradale DeAgostini, quello che si vinceva con i punti della benzina. Con i punti avevamo preso cose bellissime: una bicicletta verde da corsa, giochi, giubbotti. Ma il mio preferito era lui, con i caselli, le strade e le città. Avevo studiato percorsi, tragitti, distanze. Mi piaceva dire no, prendiamo la SS174 che saltiamo il traffico della litoranea perché avevo sette, otto anni e a quell’età certe cose fanno sempre un certo effetto. Davanti, poi, avevo la possibilità di vincere una gara strana, che durava un mese e impegnava tutta la famiglia: la gara dei babbi natale.



I babbi natale arrivavano a dicembre. Erano gli addobbi decorativi, le lucette sui negozi, le slitte sui tetti, il rosso imperante. Si facevano annunciare qualche giorno prima. Nessuna cometa, solo qualche offerta al supermercato: il corridoio centrale diventava un luogo magico, il manifesto evidente che sì, anche quell’anno il Natale sarebbe arrivato. I babbi natale sono l’essenza del Natale. Più di Babbo natale, molto più di Gesù Cristo. Sono luce che spazza la notte, l’attesa che si fa festa, il cattivo gusto che diventa indispensabile. Sono me e la mia famiglia che stiamo lì, in macchina, a fare la gara.

Quello l’ho visto io, un punto. Presepe. punto a me. Luci sulla piazza, mio. Dai, questa la lasciamo a Selene.




Il Natale è consumismo, sì, e allora? Il sacco con i regali lo abbiamo aspettato tutti, l’otto dicembre abbiamo fatto l’albero e il presepe, sì, ma senza Gesù bambino. Quello si mette il 25. Pazienza per le spese, le corse al centro commerciale, i regali strapagati: è un piccolo tributo che facciamo per ricordare a noi stessi che Babbo Natale magari non esiste, ma apprezzerebbe di certo.



Poi le cose sono cambiate. I panettoni al supermercato si trovano già settembre, gli addobbi sui negozi a partire da Halloween. 31 ottobre. Sono usciti i dischi di natale, passeranno tanto in radio. Passeranno e basta. L’attesa diventa semplificazione, le luci deboli e insensate, il natale un altro anno che sta finendo di nuovo, come sempre. E novembre fa sempre più schifo.

Sarà che mi piace, ci piace incasellare le cose, quantificarle, scandirle. Le ferie ad agosto, la scuola a settembre, il Natale, ovviamente, a dicembre. E il calendario dell’avvento, giorno per giorno, in quel senso di sospensione che è il vero segreto del Natale.

Sono diluite le feste, gli eventi speciali, quelli col vestito buono e la cena tutti insieme. I babbi natale non li conta più nessuno, al massimo li fotografiamo. #Christmaswiththeyours, #Natalenuntetemo.

Sarebbe da rubarle tutte, quelle luci novembrine. I babbi natale fuoritempo, le renne senza neve. Rubarle alla pioggia, ai supermercati, ai lampioni tristi di periferia. Rimetterle tutte dopo, quando è giusto, quando si deve. Farle comparire con un trucco, un gioco di magia, da prestigiatore barbuto, con il cappello rosso e un sacco sempre troppo pesante. E sarebbe da contarle tutte insieme, da capo. Come ogni anno, insomma.





 
 
 

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Tanto per riassumere

Ho 26 anni e sono cresciuto a Montefiascone. Ora vivo a Torino, e sono passato dalla Fiera del vino al Salone del libro. Onestamente mi trovo bene in tutti e due.

 

Mi sono laureato in Lettere con una tesi sulla narrazione tra fiction e realtà di Cercas e Saviano, mentre alla Scuola Holden mi sono diplomato con un progetto sulla televisione a cavallo del secolo, parlando dell’Uomo Gatto e di Ciao Darwin.

 

Scrivo articoli per Repubblica, Vice e Tropismi. Amo comporre canzoni demenziali, guardare Techetechetè e ascoltare cose che andavano di moda 50 anni fa. Ma non nello stesso momento.

Al momento collaboro con la Scuola Holden. Mi occupo di Corporate Storytelling.

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